incontrarsi nel punto e a capo

la grammatica
lo stadio di coscienza
che porta al bello_pensiero profondo n°10

l’eleganza del riccio_muriel barbery

in tre righe l’haiku del tempo segreto delle parole, la sua architettura: la grammatica, un esercizio necessario che porta a conoscere e saper leggere la bellezza della scrittura.

io sono sempre stata una pessima narratrice, e questa cosa non mi è mai piaciuta. da pessima narratrice, però, ho imparato in maniera oltremodo naturale a portarmi dietro la voce che più mi ha trasmesso l'incanto della lettura: la mia insegnante di italiano delle elementari. la prima volta che le ho sentito leggere in classe Alice nel paese delle meraviglie, la sua voce e il suo modo si sono insinuati dolcemente nella mia mente. da allora, tutte le cose che ho letto hanno avuto la sua voce, tutte le cose che ho scritto le ho immaginate lette da lei, per vedere se la cosa potesse funzionare; a parte le fiabe, che hanno da sempre la voce dei miei nonni e di mia madre.

è questo che mi sforzo di immaginare quando le persone mi raccontano la mia scrittura: chissà come suonano le mie parole con le voci altrui, chissà se leggendole le vedono tutte quelle virgole, se si fermano e mi incontrano nel punto e a capo.

e questa è una delle sorprese più grandi, il momento in cui qualcuno ti dice: “sai Ursula, ti leggevo ieri e...“ 
anche solo l’espressione ‘ti leggevo’ penso sia meravigliosa, così intima, così delicata, così dolcemente entrante.

bruno mallart

così, la scrittura cambia forma.

quando arriva il momento, io la sento fluida, sempre, scorrere come un fiume; piena di parole che all’improvviso mi s’infilano sotto la lingua. non so nemmeno io come ci finiscono, a volte penso di trovarle dietro un angolo, l’angolo di qualcosa che vedo: stanno, nella profondità mutevole di un’immagine, tra le increspature di una melodia, tra i rivoli immaginari di un profumo.

la scrittura si nutre di bellezza e anche questa cambia forma. 
come un guanto, indossa ciò che la circonda: le forme, gli odori, il tempo che ogni luogo contiene in sé, profondamente; il tempo che esso schiude e regala percorrendolo.
e in mezzo stiamo noi, una bussola a parte, che punta un nord variabile, che sempre un pò si appoggia sulla gobba della luna e che quando questa non c’è la rincorre dentro lo stomaco.

le parole col tempo sono diventate una compagnia preziosa. scrivendole, sono loro che mi guardano, che mi leggono, perchè scrivere è spesso scriversi, o almeno lo è per me.
conoscerle significa dare loro il tempo che necessitano, con una virgola, un punto in più, quel punto e a capo a un certo punto, necessario.



col tempo, con l’esercizio della costruzione dei pensieri, ho sempre inseguito un obbiettivo: costruire la pausa, il momento in cui il tempo sfugge e il mondo è distante, la stanza nascosta tra le trame delle parole, in cui oltre a loro all’improvviso c’è un battito che si ferma e accelera, un silenzio a gran voce, una pausa di eternità. quello è il momento, per me, più prezioso dello scrivere.

e la mia scrittura negli ultimi mesi è cambiata, come se si fosse chiarificata, liberata dalle zavorre matassate della città.
è il paese, lo so, è anche facile in questo caso.

ingenuamente ho sempre suddiviso le cose che ho scritto tra Firenze, casa a Carfizzi e quelle famose ‘note in viaggio’ che poi sono ovunque.
bene, Firenze è un meraviglioso caos, lo so. ormai ho imparato che le parole lì fanno un pò di confusione o diventano più intricate, si nascondono, giocano tra di loro, allungano la storia.
non mi dispiace, ma il loro muro è visibile, forse per proteggersi, per invitare le persone a sbatterci la testa.
ma anche quando la scrittura sembra egoista, in realtà aiuta, chiarisce, ridistribuisce le forze, le energie, i pesi. è salvifica oltremodo.

quindi è il luogo, di certo, che trova le parole, e sognarne di nuovi, a volte, fa capire che l’incontro è anche tra loro, per primo tra loro, in questo miracolo-universo che è la comunicazione.

qui mi sembra ci sia solo più terra su cui poggiare i pensieri, solo più orizzonte dove vederli fluire e correre, mongolfiere colorate di un sentire, di uno stare, di un non dire, di un volere, di un sognare.



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