C’è un riserbo particolare
nel modo in cui le donne più anziane guardano e sfiorano con le mani le
lenzuola, le stirano, le ripongono, le piegano; una pudicizia antica che si
addentra fin nella trama del tessuto, che sia il morbido cotone o il lino più
ostico dei coprimaterassi.
foto_u r s u l a b a s t a |
Quella pudicizia ha un profumo particolare, che è quello del tempo che mai passa, il tempo cui resiste il lino, cui resiste anche il ricamo, cui resistono i fiori intelaiati secondo un disegno antico.
coperte al telaio_c a r f i z z i foto_ u r s u l a b a s t a |
In una
coperta al telaio vi è un mondo, un mondo pensato, studiato, misurato, fin nel
dettaglio; un mondo che viene dalla terra; il mondo dei colori, di una gerarchia precisa; un mondo di suoni e parole
che più non esistono, che più non si dicono.
coperte al telaio_c a r f i z z i_dettagli foto_ u r s u l a b a s t a |
Qui sta
una parte della bellezza di Carfizzi. Una bellezza che nasce dalle mani di donne che sanno, che vedono, che
insegnano, che aspettano, che lavorano, che disegnano, che sognano, che
osservano.
donne al telaio_c a r f i z z i mostra fotografica permanente_comune di carfizzi |
Di
queste donne ne son rimaste poche. Ma basta un cenno per far sì che nel
racconto le loro mani comincino a disegnare nell’aria il movimento antico,
parlando una lingua che non esiste più, urlando ancora la rabbia della rinuncia
al lavoro bello per correre nei
campi nella necessità, l’ingiustizia di una coperta andata senza merito a qualche sorella o,
peggio ancora, a qualche cognata che non parla neanche l’arbëresh.
Soprattutto
quelle mani parlano del momento della tessitura che riuniva in una sola casa
più donne, che spostava quelle che non possedevano un telaio nelle case invece
in cui ve n’era uno, ricche dimore.
Parla di
cooperazione, di scambio. Femminile.
Carfizzi
è stato un paese per cui quasi ogni casa possedeva un telaio, possedeva ori preziosi
che, come le coperte, narrano una bellezza antica. Raccontano
dei colori delle case, delle fantasie di queste donne, delle radici con cui
coloravano i tessuti, una storia lunga, che parte dai campi di lino.
Mia nonna apre il baule con un sentimento complesso, un misto di orgoglio per il tesoro prezioso, custodito gelosamente negli anni, di nostalgia per il mondo emerso da un tempo lontano, di piccoli e tenui dolori intrisi di vuoti familiari, di silenzi e di frastuoni. E mentre mi fa vedere le sue coperte sembra perdersi nei ricordi di quel tempo, nella strada che và da casa alla campagna, nei ritmi di giornate lontane. Parlando una lingua a me quasi del tutto sconosciuta, muove le mani per spiegarmi il lavoro, per farmelo vedere. Poi all'improvviso si ferma e mi guarda, dicendomi "Me lo ricordo ancora, era bello quel rumore ad aprile e a maggio..non si sentiva altro che il tucchetucche-tucchetucche nelle case..e anche casa nostra era piena di donne che venivano a cucire, a chiedere consiglio, a chiedere il disegno, a chiedere una mano, a guardare e basta. Ma quello era un altro mondo. C’era fame e tanta miseria. Ma c'era anche questo".
fase di lavorazione del lino foto tratta da un filmato storico su carfizzi realizzato da andrea falbo_anno 1940 ca |
Mia nonna apre il baule con un sentimento complesso, un misto di orgoglio per il tesoro prezioso, custodito gelosamente negli anni, di nostalgia per il mondo emerso da un tempo lontano, di piccoli e tenui dolori intrisi di vuoti familiari, di silenzi e di frastuoni. E mentre mi fa vedere le sue coperte sembra perdersi nei ricordi di quel tempo, nella strada che và da casa alla campagna, nei ritmi di giornate lontane. Parlando una lingua a me quasi del tutto sconosciuta, muove le mani per spiegarmi il lavoro, per farmelo vedere. Poi all'improvviso si ferma e mi guarda, dicendomi "Me lo ricordo ancora, era bello quel rumore ad aprile e a maggio..non si sentiva altro che il tucchetucche-tucchetucche nelle case..e anche casa nostra era piena di donne che venivano a cucire, a chiedere consiglio, a chiedere il disegno, a chiedere una mano, a guardare e basta. Ma quello era un altro mondo. C’era fame e tanta miseria. Ma c'era anche questo".
Io mi chiedo ora dove sia
quel tempo, dove siano quelle donne. Mi chiedo quando è stato il momento in cui
si è pensato che costruire insieme la bellezza non fosse poi così importante.
In merito, una riflessione di
Francesco Piccolo relativamente al complesso rapporto tra bellezza, economia e comunità,
che poi così complesso alla fine non è.
“Noi pensiamo sempre che c’è
stato un passato migliore, in cui le persone si occupavano, tutte, di questioni
importanti. Pensiamo che siano i nostri tempi a essere superficiali, perduti. E’
questa certezza che ha reso saldo il nostro istinto reazionario, in qualsiasi
spazio di vita. Era meglio prima.
Gli uomini primitivi, quando
arrivava la luce del giorno, uscivano dalle caverne e rischiavano la vita anche
per procurarsi coralli per fare collane. Rischiavano allo stesso modo, sia per
la sopravvivenza sia per la vanità. La superficialità ha diritto di esistere,
quanto la profondità. La vita politica, la vita contemplativa e la vita dedita
ai piaceri sono sempre esistite contemporaneamente, e la capacità di farle
convivere è il compito di ogni individuo e di ogni comunità”.
2 commenti:
Meraviglioso e desolante.
penso che la desolazione venga da quel dover sempre guardare indietro per trovare una qualche bellezza e un qualche splendore. nel momento in cui quella stessa bellezza apre a un nuovo futuro possiamo solo dire 'meraviglioso'.
le cose esistono, accadono e il tempo passa, sta a noi scegliere su cosa puntare per guardare avanti, come individui e come comunità.
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