queste son
parole che hanno aspettato tanto per essere qui
oggi che è più o meno un giorno come gli altri e se un giorno è caduto, lui è caduto per caso.
ma il dolore e le paure hanno anch'essi bisogno di cure e di una casa, come le favole e il riposo.
i volti hanno anch'essi il desiderio di essere accarezzati dolcemente nel ricordo di chi resta, nella veglia di chi, a modo suo, prega
perché per chi se n'è andato e non tornerà,
qualcuno c'è che sarà sempre dalla stessa parte,
con le mani piene o con niente che alla fine conti più di tanto.
qualcuno ci sarà per cui il tempo non sarà mai passato,
per cui le parole basta ricordarle per tenerne stretto il ricordo.
le strade si dividono
ma qualcuno ci sarà a portarsi dietro il pezzo mancante, e a rimetterlo nel posto giusto quando verrà il momento
con le mani piene o con niente che alla fine conti più di tanto.
qualcuno ci sarà per cui il tempo non sarà mai passato,
per cui le parole basta ricordarle per tenerne stretto il ricordo.
le strade si dividono
ma qualcuno ci sarà a portarsi dietro il pezzo mancante, e a rimetterlo nel posto giusto quando verrà il momento
27 agosto 2007
Dalla mia
veranda riesco a vedere tutto il paese al di là del bosco.
Tante case aggrovigliate
in un tetris silenzioso, e dondolantesi sulle voci portate dal vento. Riecheggiano
per tutte le vie, insieme alle grida di quei bambini che dentro di noi ancora
giocano, alle volte.
Tante le finestre che da qui riesco a
scorgere, chiuse, contro l’ultimo sole di questa estate che
silenziosa ci osserva a testa bassa, sconfitta dal lutto di
sempre. E forse, dietro ad ognuna di quelle finestre, vi è l’intimità del dolore di
ciascuno di noi.
Il mondo s’è
fermato in un giorno.
Tutto è un’immagine vivida, tagliente, un susseguirsi di immagini, dorate come l’estate, che scompaiono e si dissolvono in un istante, in un battito confuso.
Nascono e muoiono ripetutamente, si autodistruggono, doloranti e sanguinanti.
E ora cosa
rimane.
Solo la sensazione
ancora viva sulla mia pelle del caldo insopportabile di quelle giornate, delle cose e del farsi delle cose di quei giorni.
L’afa estiva e
le zanzare
Motta,
il brusio
incessante degli insetti nelle stalle
l’odore intenso
di umidità antica e fredda nella stanza con la volta intonacata e il brivido
che ancora oggi l’accompagna
il forte odore
di polvere, accecante, dentro i raggi del sole che entrano dentro le stalle.
Nella mia mente
gli ulivi, le campagne coperte di grano bruciato dal sole.
Il caldo,
ancora e ancora.
Il rumore dello
svolazzare dei piccioni nella corte, in una prospettiva dinamica e rituale.
Il crepitio
delle foglie secche e, ovunque, il canto delle cicale, ovunque, muro di suono
incessante e persistente. Culla i miei pensieri e scandisce il ritmo delle mie giornate meridionali.
Tranne per una volta, un attimo, in cui anche le cicale hanno smesso di cantare, lasciando che il
vuoto pervada ogni cosa, corrodendola dall'interno, ammalandola col nulla, con
la paura nella mente, la pazzia e la rabbia. Un dolore silenzioso e solitario
che trascina in un abisso nero come la notte più cupa, senza speranza, senza niente.
Un dolore muto, le grida cave.
I sogni come
nuvole di un istante.
Ogni ricordo
sembra non possa più parlare, e s’infrange nella miriade di pensieri che
confondono la volontà di tenere legate alla coscienza le cose che ho visto e
sentito, le cose che ho imparato.
Certi giorni
non sembrano neanche più ricordi.
Nella notte, qualche
immagine frettolosa e cristallizzata sembra appartenere al futuro, un futuro
surreale e roseo, inesistente in realtà.
Preludio e
promessa.